Anoressia: disturbo di moda? - Centro di Psicologia Clinica e Psicoterapia: depressione, anoressia, bulimia, ansia, panico, testimonianze, psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista Milano, Monza, Lugano

Vai ai contenuti

Menu principale:

Anoressia: disturbo di moda?

REDAZIONE
ANORESSIA: DISTURBO DI MODA?

E' questo l'interrogativo che molto spesso psicolo­gi e antropologi si pongono a proposito di un fenomeno che, nella nostra società, ha assunto proporzioni dilaganti, al punto da diventare uno dei principali problemi psichiatrici degli anni '80. Molteplici sono i fattori sociali che ne determinano l'esplosivo aumento, tutti ricollegabili ai mutamenti storici e culturali della condizione femminile in quest'ultimo secolo.
Secondo la psichiatria transculturale, le manifestazioni psichiche variano col mutare delle condizioni sociali e culturali. Come afferma Jaspers, ogni epoca ha il suo Zeitgeist, inteso come tendenza generale del pensiero e del sentire, così come le nevrosi hanno un loro Zeitstil, cioè uno stile particolare legato ai tempi. In tal senso, l'anoressia può essere conside­ra­ta come una 'sindrome culturale', preceduta dalla forme spettaco­lari di isteria del secolo scorso.
   
Contro la cultura del consumismo e della dipendenza
Nella società attuale è presente una forte discrepanza tra il consumismo dilagante e il grande valore che viene sempre più attribuito all'autocontrollo. La magrezza assurge a simbolo di raffinatezza e di prestigio, di decoroso contenimento dei biso­gni. Sembra quasi un paradosso, ma nella moderna società opulenta esistono donne che si lasciano morire di fame, predi­cando una nuova forma di ascetismo: ottenere il piacere attraverso la negazione di sé.
In tale ottica, l'obesità assume un significato vergognoso, in quanto associata a passività ed inattività. Il grasso corporeo rappresenta la dipendenza dal cibo, cioè dai bisogni. Con il modello imperante della donna autonoma, chi dipende viene considerato di poco valore, insicuro e incapa­ce. Mangiare diviene un atto vergognoso, un peccato, perché il cibo rappresenta la sottomissione alle gratificazioni materiali.
Alla magrezza sono invece collegati significati morali: la contro-cultura giovanile insorge contro i valori della generazione precedente, affermando un assoggetta­mento del corpo all'espres­sione di sé e definendo così una nuova identità individuale e sociale.
La restrizione alimen­tare compiuta dall'anoressica diventa quindi un modo per contestare la civiltà basata sul consumo e per proporre una ricerca di nuovi valori. L'anoressia si configura pertanto come un’esaltazione della nuova immagine di donna libera e autonoma, capace di esercitare un controllo ferreo su se stessa e sui propri bisogni.
Il messaggio condizionante della pubblicità

La pubblicità esercita una pressione sociale tale da influenza­re profondamente le abitudini e gli stili di vita. In particolare, nella pubblicità degli alimenti il cibo viene spesso associato alla forma fisica, alla linea e alla leggerezza. Dilaga un imperativo morale: il termine “light” decreta l'insorgere di una nuova filosofia di vita. L’essere magri corrisponde a una modalità esistenziale intesa come libertà incondizionata e rigonfiamento narcisistico del sé. L'insistere troppo sul tema della magrezza può rinforzare gli atteggiamenti e le convinzioni di coloro che già intrattengono un rapporto conflittuale con il cibo.

La cultura dominante rende più facile la razionalizzazione del comportamento anoressico. Le ragazze si confrontano continuamente con immagini di bellezza sempre più impegnative, in cui la linea sembra diventare la chiave magica verso la felicità.
Tale fenomeno sta dilagando quasi a tutti i livelli sociali, proprio ad opera dei mass media, che annullano le distan­ze. I modelli di donna vincente che si vedono al cinema o in televisio­ne vengono spesso presi come esempi da imitare, essendo le loro figure ormai alla portata di tutti. D'altra parte, essere magri è un ideale di salute e bellezza mai comple­tamente raggiungibile, in quanto i modelli estetici proposti dalla televisione vanno al di là delle possibilità della vita ordinaria.

Il valore sociale dell'apparenza
La società odierna ha accordato un'attenzione spesso esaspe­rata alla dimensione estetica e ha sviluppato un eccessivo interesse per l'aspetto esteriore del corpo. Si giudica l'altro non per le sue qualità interiori ma sulla base del suo aspetto fisico.
Le ragazze anoressiche hanno assorbito completa­mente tale tendenza e si sentono accettate solo per come appaiono, più che per il semplice fatto di esistere. L'apparenza misura il valore e la desidera­bilità delle donne, anche se la ricerca continua di perfezione costitui­sce una restrizione alla libertà mentale.
Il disagio dell'anoressica risulta ancor più accentuato da una cultura dell'apparenza, che la fa morire di fame pur di essere accettata. Il corpo magro, privo di debolezze e di bisogni, diventa un’esibizione della propria vittoria.
Il forte senso di inadeguatezza che l'anoressica sperimenta dentro di sé la spinge a dimagrire per sentirsi apprezzata, in quanto l'obiettivo magrezza è un valore, universalmente condiviso e conforme alle richieste dell'ambiente. Poiché si sente esistere solo attraverso gli occhi dell'altro, l'anoressica si costruisce una maschera, con la quale decide di affronta­re il mondo, per celare il suo vero sé, ritenuto ripugnan­te e inaccet­ta­bile. Questo processo concor­re alla costruzione di un falso-sé, che, dietro la facciata di efficienza e perfezione, nasconde un profondo bisogno di dipendenza dall'altro.
Essendo cresciute con un senso molto fragile di sé e del proprio valore, le anoressiche ricercheranno continuamente l'approvazione altrui, possedute dalla smania di apparire e di piacere univer­salmente. L'anoressica è infatti sempre fortemen­te narcisista e la sua sensazione di essere la più magra di tutte  accresce a dismisura il suo senso di onnipotenza. Stare a metà, essere normale, per lei equivarrebbe a non esistere.
Tale desiderio viene rinforzato dal culto della snellezza particolarmente vivo nell'ambito della moda. La magrezza, anche eccessiva, è vista come il biglietto d'ingresso in questo mondo dorato. Gli stilisti insistono sul troppo snello, provocan­do un'ampia incidenza della malattia nell'ambiente delle indossa­trici, il cui corpo magro diviene lo strumento di successo per eccellenza.
L’anoressia non può tuttavia essere riduttivamente ricondotta al mondo della moda: non si diventa, infatti, anoressiche solo per imitare i modelli di bellezza androgina delle indossatrici. Il nucleo profondo di tale scelta esistenziale  scaturisce da un rifiuto di tale estetica dell'apparenza nel continuo tentativo di annullare la fisicità del corpo, fino a diventare dei veri e propri scheletri viventi.
L'esempio della danza
L’esigenza di utilizzare il proprio corpo come un dispositivo di affermazione sociale viene sentita in tutti quegli ambiti professionali in cui la leggerezza del corpo costituisce un imperativo, come nel caso della danza. Compito della ballerina è quello di tracciare nello spazio un contorno dinamico netto e, a tale scopo, la sua struttura corporea deve consentire il librarsi aereo.
Un corpo esile e leggero che si muove nello spazio è percepito con piacere estetico. La ballerina deve creare l'illusione di una fragilità ultraterrena, riproducen­do l'immagine eterea della silfide. Solo un corpo scheletrico le può consentire di raggiungere tale obiettivo.
Il mondo del balletto è un ambiente fortemente competitivo, in cui la magrezza viene richiesta come requisito indi­spensabile al successo.
Il fenomeno anoressico risulta dunque particolarmente presente nella società attuale, che ne enfatizza il suo sintomo principale: la magrezza. Tuttavia, un’accurata analisi storica rivela come l'anoressia sia giunta, in quest'ultimo secolo, solo a una maggiore consapevolezza medica, ma che essa era già presente, sia pure in forme e con finalità diverse, in culture ed epoche passate.
Nel corso dei secoli, si è andato modificando il significato attribuito alla condotta anoressica che, da pratica ascetica nel mondo antico, è stata considerata durante il Medioevo cristiano come un fenomeno sopran­naturale o diabolico, per assumere infine, nel secolo scorso, lo statuto di malattia psichiatrica.
Durante il periodo del cristianesimo medioevale, ad esempio, il digiuno fu adottato in particolar modo dalle sante come mezzo di purifica­zione dalla corruttibilità del corpo, identificato con il demonio. Il digiuno veniva allora considerato come uno strumento sacro, una delle vie che 'iniziano' al contatto con la divinità.
L'anoressia non può pertanto essere conside­rata una malattia moderna; moderna è l'interpretazione psichiatrica che ne è stata data, ma il suo nucleo genuino risale a tempi remoti.

Dott.ssa Arianna Nardulli
 
Copyright 2017. All rights reserved.
Torna ai contenuti | Torna al menu